La storia di Livigno

Le notizie storiche della "vicinia" di Livigno


Tra le vicinìe di Bormio la più caratteristica fu certamente quella di Livigno che ancor oggi conserva un ricordo del suo ordinamento con Bormio, nell'esenzione da dazi e monopoli. Il raggiungimento di questa piena autonomia fiscale fu però non poco faticosa.

Soprattutto per quanto concerne l'uso dei boschi e del pascolo, Bormio fu sempre piuttosto esigente nei confronti dei suoi vicini, cito ad esempio delle pergamene. 1319 - giovedì 8 febbraio - ricevuta ai vicini di Livigno Albertolo del fu Egidio Venosta di Mazzo, dichiara di ricevere lire 4 imperiali da Nicola musasio di Bormio a nome dei vicini della contrada di Livigno, quale fitto annuale.

1322 - martedì 2 novembre - Restituzione Antonio di Campagnolol filius quondam Compagnono Alberigo di Poschiavo, restituisce ad Alberto filius Egidio de Venosta di Mazzo, ogni suo diritto su tutte le Alpi di Livignolo e Fedaria, in territorio di Bormio, e detto Antonio dichiara di ricevere lire 100 imperiali a saldo". (appendice n.36).

Frattanto si affermava sempre più la potenza dei Visconti i quali approfittando delle lotte tra Como e Coira per il possesso di Bormio riuscirono lentamente a penetrare nelle zone più settentrionali della Lombardia.

Nel 1355, Azzone 1O, riuscì con relativa facilità ad occupare Como ed il suo Vescovado, entrando poi e risalendo la Valtellina fino alla pianura di Bormio. Qui fu temporaneamente arrestato, in quanto l'alta Valtellina aveva acquistato una notevole forza ed autonomia, grazie ai privilegi concessi da Coira.

Vinto poi nel 1366 ed aggregato ai territori dei Visconti, Bormio, riuscì a conservare in gran parte i suoi privilegi.

Per i Visconti, del resto, valeva di più affezionarsi questi irrequieti mercanti montanari che non essere costretti a continue spedizioni punitive.

I pericoli maggiori, quindi non vennero dai Milanesi, ma dalla Rezia; drappelli di engadinesi, si spingevano nel territorio dell'alto Bormiese, attraverso la vallata di Livigno, devastando i pascoli ed asportando il bestiame. Queste scorrerie aggravavano non tanto la situazione economica di Bormio basata sull'agricoltura ed il commercio, che cominciò a svilupparsi in modo notevole, quanto piuttosto quella più precaria e primitiva dei Livignaschi, esclusivamente basata sull'allevamento e sullo sfruttamento del pascolo per il quale tra l'altro, Livigno era ancora tenuto a pagare onerosi tributi al Centro bormino.

Quando alla Signoria dei Visconti succedettero gli Sforza, si aprì per la Lombardia un periodo di instabilità, particolarmente grave per la nostra valle, sempre più insidiata dai vicini Grigioni.

La solidarietà dei Comuni valtellinesi verso Milano si attenuò: i mercanti, infatti si orientarono verso un'attività più lucrosa: i passi alpini e le strette strade che vi si inerpicavano, che portavano alla Rezia ed a Venezia, vennero considerato un grosso e prezioso capitale da investire e far fruttar al massimo.

A loro volta i Veneziani ed i Retici, cercarono di contrastare le azioni concorrenti dei Valtellinesi. Nel 1478 i comandanti grigioni irruppero da Livigno su Bormio, appiccando incendi e compiendo razzie. La zona conobbe poi' nel breve volgere di un anno, l'occupazione francese, la ripresa del Moro. E' allora evidente che anche se non esistono documenti, i montanari dell'alta valle, dovendo sottostare ad uno straniero, abbiano finito per optare verso una potenza minore ma tranquilla, una potenza che garantisse la continuità di quella autonomia amministrativa da tempo conquistata , che garantisse altresì la possibilità di una vita operosa e lontana dalle continue discordie: quella dei Grigioni.

L'occupazione grigiona parve ai Valtellinesi un evento sopportabile, e i Bormiesi, in particolare, seppero sfruttare abilmente la situazione e darsi un sistema interno di vita degno di ogni elogio, ottenendo un'autonomia quasi completa nell'amministrazione civile e nell'esercizio della giurisdizione. L'orientamento di tutti gli atti pubblici, per i primi 20 anni, fu in tutto favorevole ai Grigioni; anzi si dice anche da alcuni, che il popolo di Bormio si sia dato liberamente ai Grigioni. Del resto, se si pensa alla durezza del precedente dominio francese, i cittadini del Bormiese avranno visto senz'altro i Grigioni con simpatia, come già si è detto.

Dal 1515 i Grigioni inviarono regolarmente a Bormio il loro rappresentante, il Podestà e questo governò secondo lo statuto di Bormio. Tuttavia questo fatto dell'occupazione da parte retica delle valli italiane, non fu da tutti pacificamente accettato: più volte si tentò da parte milanese e francese di recuperare le valli in mano ai Grigioni, ma anche il più insigne tentativo armato, messo in atto dal medeghino (G.Giacomo Medici), fallì miseramente. Dopo il 1522, tranquilli per la vittoria sul Medeghino, i Grigioni passarono, anche nei contadi della Valtellina all'affermazione pratica dello "jus reformandi" in materia di statuti: la nomina dei magistrati da parte dei Grigioni, portò a gravi conseguenze; spesso i rappresentati d'otralpe, incolti e malvisti dalla popolazione, non erano in grado di assolvere al loro compito. La convivenza pacifica non fu quasi più possibile. A stento il Contado di Bormio, in base all'art. 319 degli Statuti, riuscì a conservare alcuni dei privilegi precedentemente acquistati ed ai quali a stento una comunità abituata all'autonomia, avrebbe rinunciato. D'altra parte i Grigioni intuirono che la religione sarebbe stato uno degli ostacoli maggiori nel loro progetto di assoggettamento delle popolazioni alpine. Iniziarono così una lenta penetrazione, per stabilire una solida base protestante.

La riforma protestante si era già diffusa da tempo fra i Grigioni e vi aveva conquistato un forte predominio. In valtellina le nuove idee giunsero sì dal Nord, per appoggio delle autorità retiche, ma anche attraverso i profughi che avevano lasciato l'Italia davanti alla controffensiva del Concilio di Trento.' Fu così che la polemica religiosa assunse anche significato politico. Da tempo, infatti, tra i Valtellinesi serpeggiava un grande malcontento per gli abusi e la corruzione dei funzionari retici. Tale dissidio andò via via aumentando, nel decennio fra il 1549 e il 1559.

Ad approfittarne fu la Viciania di Livigno; lontana dalla terra madre e da essa separata nei mesi invernali causa della neve, aveva un suo Pretore con possibilità di sentenziare per cause minori. Per le maggiori si doveva aspettare la primavera perché fossero trattate nel capoluogo. In verità, già dal 1355, Livigno, aveva progressivamente teso verso l'autonomia. Questa tendenza si concretò dapprima nel 1477, quando la Chiesa di Livigno, si staccò da quella di Bormio e successivamente nel 1538, quando "si limitarono le ingerenze di Bormio, liberando i Livignaschi dalla prestazione della "mulsa" il dì di S. Giovanni, dalla fornitura di un agnello su dieci al macello di Bormio, dal monopolio dell'osteria".

Livigno fino ad ora aveva conservato caratteristiche del tutto arcaiche: unica occupazione per una scarsa popolazione era la pastorizia praticata in questo esteso pascolo di possesso della Comunità. Le violazioni in materia di pascoli erano frequenti da parte dei Livignaschi.

A volte, addirittura, vendevano i beni demaniali ad estranei. Nel 1559, una parte del pascolo fu venduto, appunto, a degli Engadinesi. Ciò scatenò una serie di proteste da parte di Bormio.

La Vicinia di Livigno, tendeva, acquistandosi la protezione dei Grigioni, a realizzare pienamente l'indipendenza dalla Terra Mastra. Ovviamente per Bormio, il frazionamento di un minuscolo territorio, avrebbe significato la perdita dell'autonomia. Nel frattempo i Livignaschi avevano inviato alla Comunità di Bormio, una serie di lamentele circa pretese ingiustizie dei Bormiesi, contro gli interessi dei Livignaschi. Con tali lamentele i Livignaschi, chiedevano autonomia, esenzione dall'obbligo di pagare le decime ed ogni altro onere ancora esistente.

Bormio, come capitale del piccolo stato, rispose a tutte le Petitiones, ma, poiché le stesse erano state fatte pervenire anche ai Grigioni, questi non si lasciarono sfuggire la occasione per affermare la loro autorità: stabilirono pertanto la piena autonomia di Livigno, sia in materia economica (sfruttamento dei pascoli e dei boschi) che giuridica. Così poco a poco tutti i privilegi del Contado, che vantava la storia più gloriosa fino ad ora, e più libera della Valtellina, stavano subendo dei ridimensionamenti, delle limitazioni. La rottura dei rapporti tra Bormio e i Grigioni, era destinata ad andare progressivamente accentuandosi fra il 1563 ed il 1620.

Finché i tentativi ripetuti di infiltrazione del potere dei Grigioni, rimasero in superficie, i Bormiesi reagirono con ambascerie, con la diplomazia, in nome del rispetto degli statuti. Quando però i tentativi si fecero ancora più frequenti e minacciosi nei confronti delle istituzioni democratiche, allora la Comunità reagì in modo più drastico, ricorrendo alle armi, e soprattutto al profondo sentimento della religione e della patria.

La ribellione che vede uniti tutti i Valtellinesi, contro i Grigioni, scoppiò a Tirano il 19 Luglio 1620.

I fatti di sangue si verificarono simultaneamente in numerosi centri della Valle. A Bormio dove risiedevano pare, solo tre riformati, si usò solo una certa clemenza, anche se in seguito si presero serie misure per la difesa del cristianesimo.

Il tentativo dei Grigioni di occupare la Valtellina, fu sventato dall'intervento degli Spagnoli, che tuttavia preferirono rimanere in Valtellina, più come protettori che come padroni.

Livigno in questo periodo tormentato, per la sua particolare posizione geografica, fu l'ideale passaggio per le truppe grigione che marciavano verso la Valtellina. Ne riportò comunque, gravi perdite da questo fatto. I trattati di Milano del 1622, riconobbero al Contado di Bormio il definitivo distacco, dalla Rezia. Questi fatti suscitarono però la ribellione della Francia e di Venezia che avevano sostenuto nella lotta i Grigioni. Il Papa stesso, Gregorio XV, si offrì per risolvere la vertenza e sostituì ai presidi spagnoli quelli pontifici.

Al periodo di relativa calma, si succedettero però, due fatti particolarmente gravi: prima la pestilenza, portata in tutta la Valtellina dal passaggio dei Lanzichenecchi, poi l'attacco da parte della Francia nel 1635.

I Francesi, scesero il 29 Marzo su Bormio, penetrando dall'Engadina attraverso la Valle di Livigno. Questo episodio è senz'altro uno dei maggiori della storia di Livigno, tanto che è ancora oggi ricordato da un graffito sulla facciata della Casa Comunale. Inoltre ha stimolato vivamente la fantasia popolare secondo la quale fautori della vittoria furono i morti di Livigno, insorti a gridare contro il nemico "via di qua". Ed ecco l'episodio: il Rohan appena sa della inconsulta ed improvvisa ritirata del Du Lande, dal Bormiese e dalla Valtellina, approfittando dell'inerzia del generale spagnolo Serbelloni, mette a fuoco le fortificazioni di Mantello, fila in vista del Forte di Fuentes, e per Chiavenna; lasciati distaccamenti di protezione a Riva e Chiavenna, agli ordini di Ulisse Salis, valica il Maloia, scende a Zuoz dove si congiunge con i distaccamenti francesi del Du Lande e Montauzier e decide l'offensiva ad oltranza su Livigno. Le truppe ai suoi ordini sono costituite da circa 3000 Francesi, 1500 Grigioni e 400 cavalli. Si tratta di superare il Passo di Cassana altissimo, e scendere nelle conca dello Spöl a quasi 1900 m. in piena zona alpina (conca questa circondata da vette impervie e superiori a 3000 m.) mentre piccole colonne secondarie devono appoggiare il movimento per i passi laterali di destra del Chamuera e del Fieno, onde impedire un'eventuale ritirata nemica per la Forcola, nell'Engadina e nei Grigioni. Il nemico a fronte è quasi doppio di numero e costituito da truppe agguerrite.

Nel Consiglio di Guerra tenuto dai capi Grigioni e comandanti francesi, il Du Lande è del parere di non affrontare battaglia, ma quello del Duca a cui si uniscono, Grigioni, prevale. Gli imperiali che non si sono neppure curati di mantenere una linea di sorveglianza ai passi ed alle strette principali della valle di Livigno, (Cassana, Forcola, del Gallo) sono sparpagliati ovunque, con il grosso, allo sbocco di Val Federia percorsa dalla mulattiera del Passo di Cassana. Dal passo di Cassana le avanguardie francesi nella notte del 26-27 giugno si portano sulla destra della Val Federia ed occupano la vetta Blesaccia, dominante il piano di Livigno, e non occupata per trascuratezza, dall'avversario. Sotto la loro protezione all'alba del 27, il grosso delle truppe franco-grigione, scende rapidamente per il fondo-valle e coglie di sorpresa gli imperiali. Di primo slancio un distaccamento Grigione, si porta di corsa alla chiesa parrocchiale di Livigno: intorno all'adiacente cimitero , che essendo murato, serve quasi di ridotta; la lotta si fa vivacissima. Gli imperiali alloggiati nelle "baitel, della vallata, distanti tra loro ed ancora assonnati, possono a stento raccogliersi ed opporre parziali resistenze. Caricati dalla cavalleria francese, molti affogano nello Spöl, a cui erano stati tolti malauguratamente i ponti, i più sono ricacciati oltre; un intero squadrone di cavalleria bavarese ancora appiedato perché colto di sorpresa, viene distrutto completamente. Le truppe alla diretta dipendenza del Brisiguel sulla destra dello Spöl tentano di sostenere la lotta ma anch'esse sotto l'impeto dei Franco-Svizzeri che trovano un guado, sono passati sulla destra del fiume, iniziando la ritirata., la quale può compiersi con un certo ordine per i passi d'Eira e di Foscagno verso la Val Viola, Bormina o Valdidentro, anche perché nei Franco-Svizzeri, data l'ora tarda e la stanchezza dei Grigioni, prevale nel Consiglio di Guerra il parere del Du Lande, di non inseguire il nemico.

A loro volta i Franco-Svizzeri, preceduti dal Du Lande, sgombrano la Val di Livigno per il passo della Forcola e Poschiavo, scendono a Tirano. La valle viene così sgombrata completamente dagli stranieri invasori; da qui nacque la graziosa popolare leggenda eroica dei "Morti Livignaschi combattenti per la libertà della loro valle" .......

Affermano Glicerio Longa e la Giuseppina Lombardini, che si occupano di storie bormiesi, che in un primo momento i francesi ebbero la peggio. Ma, travestiti coi camici bianchi di una confraternita, spaventarono gli imperiali che fuggirono in preda al più superstizioso terrore. Ed ancora, Longa e la Lombardini, accennano ad una eventuale cooperazione di lotta dei morti di Livigno coi francesi. Ma la tradizione popolare non è questa: ha una concezione assai più larga, religiosa e patriottica insieme. Dice essa (ed il ricordo in Livigno è ancora vivo) che contro gli invasori franco-svizzeri ed imperiali, comunque e sempre stranieri predatori, insorsero i morti livignaschi tanto più sdegnati dalla profanazione e dall'oltraggio recato ai luoghi sacri.

Insorsero e gridarono altamente nei primi bagliori dell'alba "Via di qua...!". E l'effetto fu immediato e disastroso! Poche ore dopo infatti gli imperiali si ritiravano su Bormio per il passo d'Eira e Foscagno ed a sua volta, il Rhoan, per il passo della Forcola e Poschiavo, si dirigeva su Tirano. La valle di Livigno era così di nuovo sgombra, libera.

A noi sembra che questa versione dell'episodio del combattimento di Livigno, pure rivestita di leggenda, sia anche più simpatica perché segna il ridestarsi dello spirito nazionale di indipendenza che quasi preludia a distanza di secoli, il ritornello del popolarissimo inno garibaldino.

Ad operazioni ultimate, i Grigioni reclamarono ripetutamente la restituzione dei territori valtellinesi.

Ma il Richelieu.. non aveva fatto riconquistare la Valtellina per restituirla agli alleati; essa doveva servire come base per operazioni militari contro la Spagna in Italia.

Il Governo retico, però, reclamò minaccioso, l'immediata restituzione e, davanti al rifiuto di Richelieu, si scatenò una vera e propria sommossa.

Col Capitolato di Milano, (1639), la Valtellina ritorno alla già sperimentata sudditanza. ora si desiderava solo la pace, si voleva tornare alla lavorazione dei campi, ai traffici ed a un modo civile e pacifico di vita.

Meno densi di avvenimenti scorsero gli anni successivi.

Il' Contado di Bormio si regolava interamente sui suoi Statuti tradizionali, si reggeva sulla vecchia struttura autonoma.

Le leghe, del resto, avevano imparato a proprie spese, che la Comunità si doveva tener buona, quindi erano pronte a concedere con una certa celerità, tutte le richieste che da esse provenivano: abolizione di dazi, dispense da imposte .......

Quasi ogni anno Bormio faceva obiezioni alle diete; quasi sempre tali ricorsi si tramutavano in concessioni.

Rari, anche se non completamente assenti, erano gli incidenti in questo genere di trattative.

Frattanto Milano era passata in mano agli Austriaci, i quali, potendo comunicare con il paese suddito, solo attraverso la Valle dell'Inn, subentrarono agli Spagnoli nella tutela della Valtellina.

Si assistette nel frattempo ad un progressivo miglioramento dei rapporti Coira e Vienna, al quale però non fece riscontro un altrettanto positivo rapporto tra i Grigioni ed i sudditi Valtellinesi.

Dal 1785, l'atteggiamento della Valtellina, si fece più risoluto contro la cattiva ed opprimente amministrazione, la venialità e gli arbitrii dei Grigioni. Ma le trattative andavano spesso per le lunghe, cosicché, i Valtellinesi nel 1797, intimarono le dimissioni a quello che fu l'ultimo Governatore Grigione, e decretarono l'annessione della Valtellina alla Repubblica Cisalpina.

Dopo l'occupazione di Napoleone, gli Austriaci, annessero la Lombardia al Lombardo-Veneto, nonostante le proteste dei Grigioni, che ne rivendicavano il diritto di possesso.

Il Bormiese, contrariamente al resto della Valle, manifestò la sua intenzione di far parte nuovamente della Confederazione Elvetica. Lo stesso Prete di Livigno, si era recato con una delegazione a Zurigo per chiedere inutilmente il ritorno sotto la sovranità dei Grigioni.

Il dominio austriaco durò quasi 50 anni durante i quali molte ed apprezzabili furono le opere pubbliche, soprattutto nel campo della viabilità. In particolare a noi interessa l'allacciamento di Bormio con l'Alto Adige, mediante la strada dello Stelvio.

Quanto al risorgimento, in Valtellina ebbe in misura assai scarsa lo spirito e la forza delle città.

Tuttavia anche i Valtellinesi diedero il loro apporto alla causa del paese e nel 1850, entrarono a far parte del Regno di Sardegna.

La Costituzione di Livigno come Zona Franca


Livigno è un paese povero per natura e proprio su questa povertà è basata la legge del 1910 che mette il Comune al di fuori della linea doganale estendendo la franchigia ai generi di privativa dello Stato. Tale legge, comunque, non concedeva nulla di nuovo perché bisogna risalire alle origini di Livigno, per aver notizie delle prime franchigie delle quali ebbe ad usufruire la Comunità livignese.

Già nel 1538, i Livignaschi, sfruttando con abilità e furbizia una situazione politica e militare piuttosto contorta, riuscirono a raggiungere l'autonomia nei confronti del Contado di Bormio; a questo periodo risalgono anche le prime agevolazioni e varie furono le concessioni che Livigno stipulò, di cui non rimangono tracce documentali, ma alle quali si rifanno chiaramente atti similari posteriori richiamandone l'esistenza.

Risale al 15 fruttidoro dell'anno 9 repubblicano, una comunione con l'Intendenza di Morbegno, alla quale ne seguì un'altra in data 2 Febbraio 1805, con cui la Regolatoria di Finanza, concedeva alla Comunità di Livigno di esportare ed importare dal Tirolo quanto occorreva alla sua sussistenza, "ritenendo detto Comune staccato per gli oggetti daniari dal restante della nostra repubblica". Con la caduta di Napoleone Bonaparte nel 1814, era venuto meno anche il Regno Italico e gran parte del suo territorio, l'antico stato veneto di terra ferma, il Friuli, le province di Bormio e Chiavenna e la Valtellina, formarono il Lombardo-Veneto dichiarato dal Congresso di Vienna del 1815, parte integrante ed inalienabile della Monarchia austriaca. Nel febbraio del 1825, il Comune di Livigno, sottoscrisse una convenzione con l'Intendenza Regia del Lombardo-Veneto in merito ed all'esenzione daziaria dei generi di privativa, ed all'esenzione dei diritti di dogana con il permesso di poter liberamente introdurre dall'estero ogni articolo necessario alla propria sussistenza e parimenti, senza alcun contributo daziario, la introduzione annuale nell'interno dello Stato di prodotti del proprio suolo entro i limiti determinati.

Confermata nel 1837 e 1840 fu revisionata nel 1853; il 23 Giugno del 1857 fu firmata una nuova convenzione con il Governo austriaco (rinnovabile di triennio in triennio, qualora, tre mesi prima della scadenza, non venisse disdetta la validità dalle parti contraenti) Il per la franchigia dei diritti di dogana nei suoi rapporti di commercio con l'estero e con l'interno della Lombardia, come pure dei diritti inerenti ai generi di privativa e dell'imposta di confine sugli articoli necessari al consumo liberamente introdotti dall'estero".

Nel 1877 il Regio Governo italiano, come da deliberazione del Ministro delle Finanze, aveva stabilito la soppressione della suddetta convenzione al 31 ottobre 1879 (data di scadenza del triennio) ma aderendo poi alle istanze del Comune di Livigno acconsentiva alla stipulazione di una nuova convenzione: la pratica per la nuova convenzione non ebbe comunque seguito, cosicché venne continuata la convenzione austriaca, del 1857 fino all'emanazione della legge n.516 del 17 Luglio 1910. Tale legge, oltre a dichiarare Livigno fuori dalla linea doganale (art. 1), concedeva di introdurre nel territorio doganale; in esenzione dei diritti di confine, gli animali nati ed allevati in loco, ed altri prodotti. In caso fossero avvenuti mutamenti nella produzione del territorio comunale, il Governo, veniva autorizzato ad apportare variazioni alla quantità e alla qualità degli animali e degli altri prodotti, in modo, però, che non ne derivasse un aumento nell'ammontare totale dei diritti di confine, abbuonati per effetto della legge in esame.

L'art.1 del R.D. 14 Maggio 1911, delimitava il territorio del Comune di Livigno, dichiarato fuori della linea doganale, limitato a Nord-ovest ed a sud con il confine Svizzero, e ad Est dalla linea data dallo spartiacque, fra il bacino dello Spöl ed il bacino dell'Adda.

Nel territorio così delimitato, non erano permessi depositi di merci estere soggette a diritti di confine, in quanto superiori al fabbisogno degli abitanti.

Con un nuovo Decreto Ministeriale ,il Ministro delle Finanze disciplinò il deposito e la detenzione di determinate merci soggette a diritti di confine (come caffè, zucchero, tè, spiriti, fiammiferi, pietrine, cartine, tubetti per sigarette tabacchi ed accenditori automatici) nel territorio del Comune con obbligo ai detentori di munirsi di speciale licenza nella quale fossero determinati i quantitativi massimi dei prodotti, da tenersi nei magazzini e di un registro di carico e scarico.

Con detto decreto si dichiarava inoltre, che i quantitativi di merci trovati al di fuori dei magazzini autorizzati sarebbero stati ritenuti di contrabbando, salvo i depositi esistenti nelle abitazioni private limitatamente al fabbisogno di un mese per la famiglia. Il paese che, come ho detto. rimaneva isolato per tutto il periodo invernale a causa dell'intransitabilità dell'unica strada di accessorio, ha fin dal 1910 beneficiato di un autorizzazione che gli permette di importare dall'Italia contingenti agevolati di merci occorrenti alla popolazione di entità variabile, di anno in anno.

Le difficoltà maggiori per il rifornimento del Comune di Livigno si ebbero nel 1939; in quell'anno infatti, in seguito agli eventi politici il Comune si era venuto a trovare in condizioni di disagio in seguito alla chiusura dei mercati di rifornimento svizzeri. In seguito a tale situazione il Ministero delle Finanze, in deroga alle disposizioni nel frattempo emanate che vietavano l'esportazione dall'Italia di generi alimentari di prima necessità, autorizzava l'introduzione a Livigno attraverso la dogana di Foscagno, dei generi alimentari destinati al consumo locale.

Tutte le leggi e i decreti menzionati, hanno senzlaltro aiutato la popolazione locale da affrontare la dura vita quotidiana, ma tutto questo, rimaneva a livello del singolo cittadino e solo con la legge n. 384 dell'11 Giugno 1954, l'extradoganalità di Livigno, assunse un aspetto collettivo, ed a fruire dei vantaggi, entra direttamente anche il comune in quanto la legge 384, permette appunto al Comune di riscuotere dei dazi sulle merci introdotte ed esenti da tasse nazionali.

Il gettito dato dall'applicazione di detta legge che fu di sole poche decine di milioni, nei primi anni, raggiunge ora circa il miliardo, e quasi tutta l'attività del Comune era ed è imperniata su queste entrate.

In occasione della riforma tributaria italiana, anche la legge del 1954, venne rivista ed oggi Livigno ha una nuova legge che oltre a riconfermare i privilegi delle leggi precedenti lo esonera dalla tassa IVA. Inoltre il paese nei confronti della Comunità Europea, è considerato paese terzo.

Grazie ai provvedimenti agevolatori di cui gode, Livigno ha potuto affrancarsi da una situazione di povertà ed arretratezza in cui altrimenti oggi, con tutta certezza, verserebbe; ora il turismo l'ha scoperto riservando un futuro migliore a questa località che come unica ricchezza, ha le bellezze naturali.

Ora il progressivo abbattimento delle barriere doganali ed il processo di integrazione economica tra gli stati europei viene a limitare e svuotare progressivamente il contenuto delle agevolazioni di cui gode Livigno, per cui ci si avvia probabilmente ad una fine naturale di tali provvidenze. Se a ciò si giungerà dopo che Livigno, grazie alle agevolazioni di cui ha goduto ed all'intraprendenza dei suoi amministratori e dei suoi abitanti, sarà divenuta una località turistica convenientemente attrezzata, si potrà dire che il minimo sacrificio sopportato dallo Stato, avrà raggiunto un doppio risultato: la rinascita di una zona che la natura e la storia sembravano aver regalato nell'incomodo stato di dipendenza ad aiuti ed interventi magnanimamente concessi, ad un bilancio comunale economicamente sano che altrimenti si sarebbe aggiunto al già lungo elenco di bilanci deficitari di troppi enti locali.

Le vicende del XX secolo


Nel 1900, il pontefice Leone XIII, inaugura a Roma il Giubileo, invocando amore e pace sulla terra; in questa occasione il popolo di Livigno, costruisce una croce lignea che il 4 ottobre 1900, viene trasportata ed issata sul, Monte Parè, alla presenza di numerosissimi fedeli. Da quel giorno la croce visibile da ogni parte della Valle, protegge e difende gli abitanti del paese. Poch anni dopo, il 5 ottobre 1914, Livigno esce dal suo isolamento con l'inaugurazione ufficiale della strada carrozzabile che sale a Livigno da Semogo attraverso il passo del Foscagno(m.2230); ha inizio così nel paese il turismo estivo composto da cacciatori, amanti della montagna, escursionisti, visto però dagli abitanti del luogo con preoccupazione e diffidenza: la popolazione della valle, chiusa come carattere ed abituata da secoli all'isolamento fisico e sociale, si chiede infatti quali saranno le conseguenze di questa affluenza di turisti.

Dopo un inizio di secolo così tranquillo, lo scoppio della prima guerra mondiale è particolarmente triste e getta il mondo intero nel lutto; anche Livigno viene coinvolta in questa tragedia: ogni giorno partono giovani ed uomini, ed i morti si fanno sempre più numerosi. Nonostante il campo di battaglia sia estremam ente vicino, tanto che si sente il rombo dei cannoni delle postazioni, sul passo dello Stelvio, nel paese non si conoscono ne fame, nè miseria, anzi c'è una reale abbondanza; infatti nel 1917, poichè scarseggia il foraggio, si può alimentare il bestiame con la farina. Durante i quattro anni di guerra, di tanto in tanto, tornano in licenza i soldati reduci dal fronte e ripartono dopo qualche giorno tra la tristezza dei congiunti; nessuno tenta però di disertare, benchè sia facile attraversare il confine. Al termine della guerra molti soldati livignaschi non fanno più ritorno: il loro nome, scritto nel piccolo monumento eretto in loro onore nel cimitero parrocchiale, compare anche nelle"Cronache Parrocchiali". Nell'autunno 1924 vengono ultimati da parte della Società Idroelettrica Livignese, i lavori di costruzione della centralina elettrica e della linea di distribuzione dell'energia, che muta l'aspetto di Livigno; i vecchi del paese, abituati all'antiquato sistema tradizionale di illuminazione,non accolgono favorevolmente questa innovazione, che invece procura soddisfazione nei giovani, i quali essendosi allontanati da Livigno per causa di guerra o di lavoro, sentono il bisogno di mettersi al passo con la civiltà. Inizia così per Livigno. un periodo di discreto benessere, che si manifesta con un certo sviluppo edilizio, e con l'apertura dei cantieri per la costruzione di un nuovo bacino idroelettrico a Cancano, iniziative che offrono a molti Livignaschi occasione di lavoro. Anche la vicina Svizzera offre notevoli possibilità di lavoro, sviluppandosi in questo periodo l'industria turistica che ha il suo perno in S. Moritz.

L'evento del fascismo, che coinvolge gli abitanti del resto dell"Italia, dividendoli in fautori ed avversari del regime, non è molto sentito a Livigno, il paese vive que sta esperienza politica in maniera passiva, senza entusiasmo particolare; l'unico mutamento avviene nella istituzione civica che vede la sostituzione del Sindaco da parte del Podestà. Solo alcuni Livignaschi si fanno fautori del regime, non per convinzione ideologica, ma per sfruttare la vicenda politica per motivi individuali, quali la carriera e così via. Il primo impatto con il fascismo avviene nell'autunno del 1935, quando cinque giovani livignaschi, tra i molti mobilitati, vengono portati in Eritrea ed in Somalia per combattere contro l'Etiopia;, nessuno viene ferito ed essi ritornano l'anno successivo. Continua così la vita a Livigno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Già nel 1939 molti giovani del paese vengono mobilitati ed i richiami continuano negli anni successivi, fino a raggiungere il numero massimo di 136. All'inizio molti vengono inviati sul fronte occidentale, fino alla capitolazione della Francia; nell'autunno del '40, gli appartenenti alle divisioni alpine vengono smistati sul fronte greco-albanese, dove riescono comunque a sopravvivere. Alla fine del 1941 Livigno piange solo due suoi giovani morti, di cui uno deceduto su una nave silurata dal nemico.

Ma incalza ormai l'offensiva sul fronte russo: un numero so gruppo di alpini, tra cui 24 livignaschi, raggiunge nel giugno 1942 la linea lungo il fiume Don, a nord di Stalingrado; a Natale dello stesso anno, ha inizio la terribile controffensiva russa che accerchia l'esercito italiano, serrandolo in una sacca alla mercè di un gelido inverno russo. Inizia così per gli alpini la ritirata, una marcia nella neve in mezzo ai morti ed ai morenti, che vede tredici livignaschi uscire miracolosamente vivi da quell'inverno mentre undici rimangono morti o prigionieri nel territorio russo .

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, i soldati di Livigno sparsi sul territorio italiano, dalla Calabria in s¨ riescono a tornare nel loro paese, mentre coloro che si trovano in Grecia,in Iugoslavia ed in Francia. vengono fatti prigionieri o dai tedeschi che li portano in Germania, o dagli Alleati. Durante questa nuova fase della guerra, anche la situazione di Livigno diventa sembre più terribile e precaria. Nell'ottobre 1943 un presidio tedesco si stanzia nel paese insieme alla ricostituita milizia fascista; essendo il comandante di religione cattolica, non perseguita i soldati rientrata a casa, ad eccezione dei più giovani che, per sfuggire all'arresto preferiscono rifugiarsi in Svizzera. Questo corridoio naturale per la Svizzera, viene sfruttato anche da diversi ebrei che per evitare le persecuzioni razziali vengono àiutati da qualche abitante locale ad attraverare il confine. Frattanto in tutta l'Italia ha inizio la lotta partigiana: anche in Valtellina si costituiscono le prime formazioni, che riescono molte volte a cacciare i pre sidi tedeschi; ciò si verifica a Livigno nell'8 ottobre 1944, quando dalla Valpisella giunge una squadra di partigiani formata da elementi provenienti dal Bormiese, che si insedia nel paese, dove generalmente non reca alcun disturbo alla popolazione. Questo ridotto presidio si ingrossa sempre più, finchè il 27 Febbraio 1945, gli aerei alleati lanciano su Livigno i primi ufficiali americani che assumono il comando dei partigiani. In marzo ed in aprile gli aerei americani continuano il lancio di uomini, equipaggiamento e viveri destinati ad alleviare le condizioni della popolazione. Proprio durante uno di questi voli, un quadrimotore americano, per avaria al motore, dopo un giro su Livigno, tenta un atterraggio di fortuna in Val delle Mine, ma urta nella roccia e precipita al suolo, incendiandosi. In questa sciagura perdono la vita tredici soldati americani che vengono provvisoriamente sepolti nel piccolo cimitero di guerra posto sopra il Ponte di Bondio.

Si giunge così all'epilogo di questa terribile guerra che anche nel piccolo paese di Livigno ha provocato lutti e dolore.

Il periodo postbellico vede Livigno, come il resto dell'Italia in grande miseria; per vivere molti valligiani locali si dedicano al contrabbando, attività che anche durante la guerra costituiva una fonte primaria di sopravvivenza. A qusto proposito si ricorda un triste episodio che delinea chiaramente le dure condizioni di vita affrontate dai contrabbandieri. La notte del 6 Dicembre 1946, un gruppo formato da una ventina di uomini rientra in territorio italiano dalla Svizzera attraverso il passo di Cassana; il vento che ha soffiato durante il giorno ha aggravato il fondo giÓ difficile del percorso e bisogna procedere con grande cautela; il giovane Alfredo Holscamecht, invece di seguire i compagni che lo precedono, tenta di abbreviare la discesa attraversando un costone pericoloso, ed è travolto dalla neve. Pur soccorso immediatamente dai compagni, viene trovato già morto.

In questo periodo nella vallata nasce un altro fenomeno: spinti dalllíndigenza i Livignaschi, agevolati sia dal fatto di disporre di nomerose armi abbandonate dai partigiani e dagli alleati, sia dalla vicinanza del Parco Nazionale Svizzero, trovano nel bracconaggio un'altra fonte di sostentamento.

Nel gennaio 1951, un grave lutto colpisce la Valle di Livigno: la neve che cade ininterrotta da diversi giorni provoca un susseguirsi di valanghe che isolano completamente il paese, interrompendo ogni forma di comunicazione con l'esterno; ben presto vengono a mancare i generi di prima necessità, quali i medicinali ed il lievito per la panificazione.

Nel paese vengono danneggiate diverse abitazioni,mentre in località San Rocco, il 21 e 22 gennaio, alcune case e stalle vengono travolte dalla neve, causando la morte di ben sette persone. Sono giorni di dolore e di paura che trova un leggero sollievo nella solerzia dei soccorsi provenienti dall'esterno e soprattuttodalla Croce Rossa svizzera tramite lanci aerei. Nella primavera seguente durante il disgelo, vengono alla luce tutti i danni provocati da questa calamità naturale ai casolari usati per l'alpeggio estivo. Episodi come questi sono oramai per gli abitanti di Livigno, solo un triste ricordo; infatti l'importante evento che pone fine all'isolamento di Livigno e dà origine alla nuova economia del paese avviene nell'inverno 1952-53, quando l'Ing. Vittadin allora Sindaco di Livigno, fa sperimentare con esito positivo i moderni spazzaneva a turbina della ditta svizzera "Rolball sulla strada che attraversa il Passo del Foscagno; da allora questa via di comunicazione fondamentale per la vita della comunità livignasca, è transitabile tutto l'anno grazie agli spazzaiieve che la percorrono quasi di continuo nei due sensi di marcia permettendo il passaggio dei mezzi motorizzati.

Questo avvenimento ha fatto compiere agli abitanti del luogo un salto qualitativo del livello di vita -- se prima essi erano avvezzi a usare le slitte trainate dai cavalli per sette o otto mesi all'anno per il trasporto delle merci, della posta ed anche delle persone (soprattuttodegli ammalati che necessitavano del ricovero ospedaliero) ora le comunicazioni si svolgono in maniera rapida e tempestiva.

C'è da sottolineare che da principio, il popolo livignasco, abituato da sempre al lungo isolamento invernale, guarda con scetticismo all'apertura della strada, non credendo che sia possibile il transito invernale in condizioni climatiche così particolari. Invece questo avvenimento è determinante per l'economia, i costumi e le relazioni sociali dei livignaschi. L'economia esclusivamente agricola del paese subisce una trasformazione profonda,espandendosi nel settore turistico ed edilizio e cambiando il volto della vallata: si costruiscono numerosissimi alberghi e palazzi e si installano grandiosi impianti sciistici di risalita.

I turisti che vengono a Livigno sia d'estate che di inverno, portano un'benessere notevole e duraturo agli abitanti e li aiutano ad uscire dall'isolamento socio-culturale in cui si trovano. I livignaschi pur conservando, fondamentalmente il carattere schietto e chiuso proprio della gente di montagna, si aprono ai rapporti sociali e cominciano ad apprezzare, accanto ai loro tradizionali altri valori culturali.

Storia del Passo Foscagno


Per avere la prima via carrozzabile , seppur stretta e tortuosa , che congiungesse Livigno all'Italia attraverso il Passo del Foscagno, i cittadini del Piccolo Tibet hanno dovuto attendere fino al 1914. Tra l'altro, il Passo era percorribile solo in estate, mentre in inverno il paese restava isolato dal mondo ed era possibile raggiungere le altre località solo con gli sci o a piedi. Prima di questa data, dunque, chiunque fosse intenzionato a uscire da Livigno e giungere a Tirano, era costretto a passare dalla Valle di Poschiavo, espatriando in Svizzera. In autunno poi, lungo la mulattiera del Passo del Foscagno, arrivavano a Livigno a dorso di mulo alcuni viveri necessari al sostentamento, come le scorte di patate, unica verdura consumata in inverno insieme alle rape.

Il moderno Passo del Foscagno, come lo conosciamo oggi, è stato aperto nel periodo invernale poco più di cinquant'anni fa, nel 1952 . In quell'anno Nilla Pizzi vinceva il Festival di Sanremo, a Roma sfrecciavano le prime Vespe e l'Olivetti lanciava sul mercato la Lettera 22. Il 1952, per Livigno, significò rivoluzione. Fino ad allora il paese era rimasto isolato in inverno, immerso nel suo immutabile silenzio di freddo e fame. Un uomo, il livignasco Rocco Silvestri aiutato dall'ingegnere Vittadini, riuscì a transitare e aprire il Passo del Foscagno sfidando l'opposizione di tutti, grazie ai primi mezzi meccanici di sgombero neve della sua ditta. Per Livigno fu la fine dell'isolamento invernale dal resto del mondo e l'inizio di una nuova epoca.

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